Il Dispari 20240408– Redazione culturale DILA APS

Grazie!

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Il Dispari 20240408

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Mariapia Ciaghi – “Se Questo è l’Uomo” – DILA APS

Devo ammettere che tra le quattro principali direttrici (arte cultura sociale sport) verso le quale si muove l’Associazione di Promozione Sociale “Da Ischia L’Arte DILA APS”, della quale mio onoro di essere il Presidente, quella “sociale” occupa il penultimo posto con lo sport relegato in ultima posizione.

Ciò è dovuto a diversi fattori, il principale dei quali ritengo sia la quasi automatica vicinanza del “sociale” con la “politica” e/o con le attività clericali.

Essendo DILA APS, per scelta unanime dei Soci Fondatori, dichiaratamente a-politica e a-confessionale mi è risultato spesso piuttosto arduo (certamente per un mio limite) avviare o anche solamente parlare di un progetto”sociale”.

Se oggi faccio un’eccezione invitandovi a riflettere intorno ad un convegno che si è tenuto a Roma nel mese scorso, ciò scaturisce non tanto dalle analisi che sono state proposte, ma dalla natura stessa dei quesiti posti in discussione.

Con altre parole dico che non si è sviluppata una linea ideologica da me condivisa al 100%, che DILA APS non ne è coinvolta, ma che ritengo siano stati posti in discussione spunti seri e colti di forte valenza sociale tali da rendere interessante la partecipazione anche solo con articoli come questo.

Mariapia Ciaghi, Patron e Direttrice della Casa Editrice Il Sextante e del Magazine Eudonna, nell’inviarmi la recensione che segue, molto opportunamente vi ha premesso alcune sue considerazioni che sono in perfetta sintonia con quanto ho già avuto modo di precisare.

Ringraziandola per l’opportunità che ci ha trasmessa consentendoci di entrare nel vivo della questione, vi trascrivo il suo parere e un succinto resoconto del Convegno:

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“… non condivido parte del pensiero di alcuni relatori… ma metterei in evidenza una serie di spunti di riflessione significativi che sono emersi dalle discussioni avvenute durante l’evento.

In primo luogo, viene sottolineata l’importanza di smontare i miti e i totem che costituiscono il fondamento politico e culturale dell’Occidente contemporaneo, caratterizzato da una crisi di identità.

Questa riflessione porta a un’esplorazione critica delle ideologie e dei dogmi che tendono a cancellare la dignità e la sacralità della vita umana. 

Nel corso del convegno, si affrontano diverse tematiche, con l’analisi delle tendenze manipolative della società contemporanea e la critica alla cultura del politicamente corretto.

È stata evidenziata la necessità di difendere la libertà di pensiero e di resistere alle pressioni conformiste del mainstream.

Inoltre, si è discusso del concetto di “Grande reset” e della situazione internazionale caratterizzata da emergenze e crisi, che contribuiscono a creare un clima di precarietà permanente ponendo l’attenzione sulle implicazioni di questa situazione e sulle possibili prospettive future. 

Infine, si è concluso con alcuni consigli per sopravvivere in un mondo dominato dalle ideologie illuministe e transumaniste, che promuovono una visione dell’uomo come soggetto sperimentale e manipolabile mettendo in discussione il concetto di libertà artificiale e sottolineando il costo che essa comporta. 

In sintesi, quello che importa credo sia dare una voce anche a chi è “fuori dal coro” evidenziando l’importanza di dare spunti di riflessione importanti sulla società contemporanea, sulle sue sfide e sulle sue prospettive future.

Nella mia attività di Giornalista e di Direttrice di testate non allineate con alcun partito, apolitica e aconfessionale, mi pongo lo scopo di riportare in modo obiettivo e equilibrato tutte le prospettive e le opinioni presenti in un evento o in una notizia.

Ciò include anche le opinioni o le prospettive con cui, personalmente, potrei non essere completamente d’accordo.”

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FALSI MITI DI PROGRESSO

Torna a Roma il convegno organizzato da “Se Questo è l’Uomo”:
momento di confronto sul trans-umano che avanza

«Le barricate in piazza le fai per conto della borghesia che crea falsi miti di progresso»: queste parole iconiche che Franco Battiato musicava quarant’anni fa, se rilette oggi, rappresentano una chiave di lettura dei nostri tempi. Proprio per dibattere e smontare i miti e i totem che rappresentano il fondamento politico e culturale di un Occidente in crisi di identità-

“Se Questo è l’Uomo” –iniziativa animata da Cinabro Edizioni, ProVita & Famiglia e dalla rivista FUOCO– è tornato ad incontrarsi Roma, proprio con un convegno dal titolo “Falsi miti di progresso. Dall’Agenda 2030 al nuovo (dis)ordine globale”.

Un momento di confronto che rappresenta una risposta ai miti, alle ideologie e ai dogmi laici che hanno come obiettivo ultimo l’affermazione di una cultura della cancellazione che travolge dignità e sacralità della vita umana.

I lavori sono iniziati con i saluti di Toni Brandi, presidente e fondatore di Pro Vita & Famiglia, per poi passare la parola a Daniele Dell’Orco, giornalista e saggista, che ha introdotto e guidato i lavori. La prima delle due tavole, dal titolo UN FUTURO “SENZA FUTURO”? Difesa della vita e dell’identità: oltre cancel culture, censura e politicamente corretto, ha ospitato il portavoce di “ProVita e Famiglia” Jacopo Coghe, il docente e saggista Gianluca Marletta e Marcello Foa, già Presidente RAI e giornalista.

Coghe ha denunciato come l’attacco alla famiglia e alla natalità sia il vero obiettivo della teoria gender: uno spettro che si aggira nei nostri tempi e che, innestandosi in un abile piano di manipolazione delle coscienze, sta ancor più squilibrando i sani rapporti tra uomo e donna, rivolgendo il proprio attacco ai sani processi di sviluppo armonico e naturale dell’identità sessuale dei bambini e degli adolescenti.

Ogni giorno di più, assistiamo a ciniche strumentalizzazioni per alimentare questi falsi miti, con cui accelerare l’attacco alla famiglia che è poi la via maestra per la distruzione dell’identità sociale e collettiva.

Gianluca Marletta ha inquadrato tali tendenze corrosive nell’ambito di un più vasto piano di manipolazione di massa che scagliando ormai l’ultimo attacco alle identità.

Fino a quelle più elementari e naturali, avendo ormai già annichilito gli ultimi bastioni dell’etica e della morale.

Ma questo lavoro di manipolazione e rimbecillimento, ci ha ricordato Marcello Foa, è stato condotto tramite la negazione, mascherata da sicurezza, della libertà di pensiero, incanalata nei “dogmi” del politicamente corretto e di un mainstream creato ad arte ormai da decenni.

Gli interrogativi per l’umanità di oggi sembrano legati a doppio filo all’ideologia ambientalista, idolatria di un’indefinibile ‘Madre Terra’ a cui, come un Moloch, sembra si debba essere pronti a sacrificare tutto, anche i nostri figli, in nome della ‘sostenibilità’.
In sintesi, tutto ciò non è altro che la maschera della deriva transumanista: ultimo atto di quell’inganno che, complice l’idolatria della tecnica, sta deformando l’uomo, definitivamente privandolo di quell’immagine divina che ne è – questa sì – la più vera e profonda essenza.

Daniele Dell’Orco ha aperto la seconda tavola rotonda, dal titolo ‘SUDDITI O SOVRANI? La postmodernità tra Agende globali, tirannie delle emergenze e conflitti’, che ha visto in prima linea il fotoreporter di guerra Giorgio Bianchi, il medico neuro-endocrinologo Giovanni Frajese e il fondatore di VisioneTV Francesco Toscano.

Si è subito acceso un vivace dialogo tra gli ospiti e il moderatore, un botta e risposta trasversale e davvero plurale, esattamente come le identità dei relatori coinvolti.

Il tema cardine, ossia il ‘Grande reset’ e la fatidica ‘scadenza’ del 2030, è stato ben centrato da Francesco Toscano, seguito da Giorgio Bianchi e Giovanni Frajese.

Sono stati delineati gli elementi chiave di un’accelerazione sempre più frenetica verso la fatidica data: disordine globale e scenari di guerra.

Elementi che si incardinano e favoriscono l’imperante tirannia delle emergenze che, volta per volta, crisi dopo crisi, sta delineando uno scenario di precarietà sempre più permanente, normalizzato e ‘orwelliano’.

Di fatto, solo dal 2019 abbiamo visto affastellarsi in rapida successione il Covid-19, la guerra russo-ucraina, la crisi energetica, la crisi climatica e ora la guerra in Terra Santa che, prossima ad espandersi in tutto il Vicino-Oriente, minaccia di fagocitare il mondo… quale sarà la prossima emergenza?

Quale futuro ci riserverà la situazione internazionale?

Molti gli spunti e le riflessioni suscitati da questi interrogativi.

Infine, sul palco un ospite “in maschera”, in arte Boni Castellane: i suoi sono stati consigli di sopravvivenza per essere nel mondo ma non del mondo, per sopravvivere in quella ‘terra ostile’ in cui le ideologie illuministe trovano compimento nelle visioni e nei progetti transumanisti, per cui l’uomo non è altro che il luogo per l’attuazione e il superamento di tutto ciò che è possibile solo perché pensabile, per la sperimentazione di ogni nuova ‘libertà’ artificiale.

È filantropia? No.

È la sinistra consapevolezza che ogni ‘libertà’ ha un prezzo e che, dunque, chi vuole essere artificialmente libero è sempre a debito.

Alla fine dei lavori gli organizzatori Cinabro Edizioni, la rivista FUOCO e ProVita & Famiglia, nella persona di Jacopo Coghe, hanno lanciato una sfida: farci testimoni del Vero, del Bene e del Bello che è l’autentica essenza dell’essere umani.

I lavori di ‘Se Questo è l’Uomo’ proseguono: aperti alla partecipazione ed al contributo di tutti coloro che sono pronti a mettersi al servizio della Vita e della Verità. Oltre tutti i falsi miti di progresso.

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Il Dispari 20240325

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Così o come

Un racconto di Bruno Mancini

inserito nel volume “Per Aurora volume terzo”

Sesta puntata

 

Parte seconda

CAPITOLO PRIMO

Avevo da poco terminato di scrivere le pagine che avete letto, e mi accingevo ad un primo approccio con il capitolo cinque ancora vuoto quando uno squillo, dallo strano sapore di mandorle o nocciole tostate e zucchero nasprato, fece sobbalzare, non solo il segnale d’avviso del mio videotelefono, non solo i pesciolini rossi nella boccia trasparente casualmente aderente all’appoggio rumoroso e traballante (per loro fu quasi un terre-mare-aria moto secondo la teoria fisica della propagazione delle onde nei liquidi), non solo gli occhiali sul mio naso per il repentino movimento della testa, e la bionda schiuma di birra commerciale versata distrattamente nel bicchiere arrotondato a forma di bocca di vulcano spento, e poi la lunga scia di fogli sparpagliati sovrapposti disordinati in equilibri provvisori ed instabili, e la cenere della sigaretta che stringevo tra i denti per il tiro tiraccio tirone tiretto finale, ma, se volessi dire tutta la verità, dovrei aggiungere particolari perfino sulla rottura sobbalzo sballottamento scatenamento giramento girotondo di… parti basse del mio ventre, mentre, invece, mi voglio limitare ad affermare che quello squillo, la cui provenienza avevo identificato sul minuscolo schermo tecnologico luminoso, creava un potente sbarramento per ogni via di fuga della mia solitudine notturna.

Cercavo di distrarmi, quantunque l’aggeggio continuasse a vibrare, squillare, tormentare i pesciolini rossi, con un forte odore di odissea nello spazio intriso di sfumature all’incenso e vino cotto tanto invadente che, insinuandosi nei lobi auricolari, attraversava incudini e martelli per biforcarsi maleficamente (i miei amici Indiani chiamavano l’uomo bianco lingua biforcuta) tra una papilla gustativa spugnata di birra popolare ed un pigmento olfattivo catramato nicotinizzato bruciacchiato.

Ero stanco, avevo martoriato mortificato martellato per ore lo strumento della mia incapacità, della mia disperazione, del mio sublime aver voluto: il sassofono tenore di marca Orsi ed ancia selezionata in faticosi esperimenti.

Ero suonato, per l’accesso intermittente ininterrotto intenso alla cassetta caverna cassaforte caveau del grosso stipone stipato nell’angolo dietro la porta della cucina: silenzioso bianco latte frigorifero custode delle mie birre popolari.

Ero nel panico per mancanza di appigli appoggi appelli, apriti Sesamo, a chi mi rivolgo, aprimi Sesamo aprimi uno spiraglio speranza abbaglio, per la matita spuntata nell’ultima riga.

E lui suonava!

Mi correggo. Correggo la frase plebea.

Il Dispari 20240325 – Redazione culturale DILA APS

E lui suonava, significa che un lui, quindi un individuo di sesso maschile usava uno strumento adatto a produrre piacevoli onde sonore ecc, in vero io volevo dire che lui, il telefono, esso, continuava ad emettere vibrazioni sgradevoli sgradite sgraziate, grazie.

Lui, esso, squillava, e la curiosità, onde scoprirne il motivo, sculettava per sedurre indurre il pigro indolente rotore del mio sistema ad attivare uno sforzo punto X punto Y, tale da movimentare delicatamente l’unghione della mia mano oppure il pistillo della penna, fin sulla mini tastiera del cellulare mignon, in tal modo connettendo, con sua soddisfazione, le due utenze.

Ero spossato spompato sbolinato annacquato svaporato distrutto da “Così o come”, racconto docile ed irrequieto che mi aveva assecondato per sfuggirmi, e mi aveva illuminato per trattarmi come il pennello di un oscilloscopio relegato a registrare le intensità dei terremoti eruzioni vulcaniche maremoti bradisismi onde cosmiche venti solari. L’elettroencefalografo di uno, trenta, quaranta, due emozioni cerebrali.

Ero tutto ciò per la imminente immanente forse immemore non immortale, immateriale fine della mia semplice nutrizione mentale.

Aurora, la Signora, la Donna Guascona, non avrebbe fatto schiaffeggiare il mio silenzio notturno dallo stupido gracchiare di un cellulare se non avesse trovata la cacca nella marmellata, oppure la marmellata nella cacca, che non significano lo stesso quid.

Quanto avrei potuto resistere?

Neppure cinquecento squilli.

Addormentarmi?

Neppure con trenta caffè!

Tanto valeva affrontare l’ignoto, e speriamo bene.

Il Dispari 20240325 – Redazione culturale DILA APS

-«Pronto.»

-«Ignazio?»

-«Sì, Aurora, sono io. Ma perché mi chiami Ignazio anche in privato?»

-«è Il tuo nome d’arte. Ricordi “La Notizia virgola la Condanna punto”? Tu non mi chiamavi “Signora”, io scelsi per te il nome Ignazio. Un nome d’arte.»

-«Come stai Aurora?»

-«Così!… Sei solo?»

-«Sempre a questa ora.»

-«Lo so che è tardi, però anch’io non… mi sono posto il problema… domani sarebbe inutile… Ricordi l’uomo dal fiore di ginestra all’occhiello del bavero?… Parla sempre di te…»

-«Perché mi hai chiamato?

…Anche per me lui è un punto di riferimento importante “così o come” la sua donna dalle mani ambrate.

…Perché hai chiamato?»

-«Lei, adorabile, se potesse riabbracciarti sarebbe la felicità assoluta. è Aurora che ti parla, l’amica.

Non ho dimenticato la spontanea disponibilità con la quale ti sei proposto, nel momento per me più delicato, contrastando l’agguato che Snob Rob ed i suoi compari di luride merende avevano tentato nei confronti di me SIGNORA…»

-«Aurora, ho capito, amica, è tardi, se vuoi ne parliamo domani, lo so, amica, sei amica, mia amica e basta. Aurora, perché hai telefonato?»

-«Così vuoi, così sia. Sei stato convocato.»

-«Io? Quando?!»

-«Domani sera alle venti.»

-«Così poco tempo?»

-«E’ già tanto saperlo.»

-«Allora ci vedremo presto!»

-«Già. Ho ottenuto che ti sia concesso il privilegio di un accompagnatore ufficiale.

Sarà da te fra poco.»

Tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu tu

Fine della telefonata.

Fine della trasmissione.

Fine di cos’altro.

Fine.

Aurora, in virtù dei nostri precedenti ottimi rapporti di complici intese, aveva chiamato per dirmi di aver inviato “Qualcuno” a prelevarmi, con lo scopo affettuoso di non lasciare che effettuassi da solo il difficile viaggio di trasferimento che mi chiedeva di compiere.

Giusto?

Giusto.

Preparare i bagagli o sistemare i bordi sconnessi delle pagine già scritte?

Abbozzare il mancante capitolo cinque, titolandolo: “Bozzetti di famiglia”?

Di quanti Castelli, Pinete, Canneti, Tagliacapelli, Carrozzai Carrozzieri Uomini e Donne, presenti nel mio cuore con bandierine mascherate piuttosto che luminescenti, vorrei scrivere un “senza fine”?

E mia madre, mio padre, le sorelle?

Gilda?

Troppi.

Troppi, fino a domani sera alle venti.

Dei bagagli ne faccio a meno.

Bevo una mega birra super popolare.

Era di certo a breve distanza da me, a pochi metri se non addirittura in una delle stanze attigue.

Se avessi chiesto l’avrei saputo con precisione.

Le mie prime reazioni di stupore incredulità sorpresa “è così o no?”, malinconia sconforto abbandono “Che ci posso fare!”, immobilità fisica mentale sentimentale “Doveva accadere prima o poi”, vennero inghiottite insieme alla bella schiuma gialla della birra popolare e furono soppiantate da brevi fugaci emozioni mai dimenticate: i tesori ed i retaggi degli incontri determinanti per la indiscutibile amicizia tra me e la “Signora”.

La fama della mia amicizia con Aurora, in modo particolare dopo la pubblicazione di “La Notizia virgola la Condanna punto”, unitamente a tutta una serie di pettegolezzi urbani riguardanti il mio sistema di vita imbottito, dicevano, di estrema pigrizia indolenza disattenzione distrazione (io direi, invece, giusto impegno parsimonia e saggio economizzatore di beni importanti quali il tempo e lo spazio), “così o come” accadde per i films di Rochy, avevano posto la mia immagine all’apice del consenso, ma la mia vita privata nell’infernale sfera della popolarità.

-«è lui, è lui!»

-«L’amico di Aurora, venite…»

-«Ignazioooooo…»

-«Una birra popolare al signor Ignazio.

Mi permette una foto? Sì grazie. Scatta, fai presto, il signor Ignazio ha fretta.»

Un bestione alto due metri e trentacinque centimetri, tra pollice e mignolo, un giorno mi ha poggiato affettuosamente la mano sulla spalla e per poco non m’inchiodava al suolo come una palina di fermata autobus.

Una bagascia dai giochini veloci – ultra veloci – rapidi – urgenti tariffe maggiorate, mi ha baciato quasi sulla bocca nel supermercato gremito di gente e, forse peggio, ha spalmato sulle mie braccia con le sue ascelle sudaticce un indefinibile odore di capre e di pesci, di fattrici e di stalloni, di sessi e di colonie.

La bimbetta non ancora ragazzina stentava a comprendere gli ordini della mamma, però mi guardava come se fossi stato un vecchio Babbo Natale, intanto che mi tirava i pantaloni mostrando un blocchetto ed una penna per pretendere un autografo.

Sì forse è meglio cambiare programma, dicevo a me stesso durante ogni pausa di lavoro che mi consentivo (già non lo sapete, ma io lavoro, faccio il “A”.

“B” faccio l’assaggiatore di birre.

“C” faccio l’avvocato del diavolo.

“D” faccio l’uomo della provvidenza.

“E” faccio il servo degli istinti.

“F” faccio Ignazio di Frigeria e D’Alessandro.

“G” faccio l’uno e il trino più tre.

Bussano alla porta…

L’apnea è la scommessa perduta, la spirale avvolgente, il lusso svogliato.

Fine sesta puntata.

Segue la prossima settimana.

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Il Dispari 20240318

Il Dispari 20240318 – Redazione culturale DILA APS

Così o come
Un racconto di Bruno Mancini
inserito nel volume “Per Aurora volume terzo”

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Quinta puntata

Parte Prima

CAPITOLO TERZO

C’era una volta ed ora non c’è più, è una espressione di dolore dissimulato, la maniera atavica di considerare una perdita, qualsiasi essa sia stata, al pari di un accadimento ineluttabile, una forza del destino, una scelta divina, a secondo delle diverse dottrine alle quali ci si voglia rapportare.
C’era una volta ed ora non c’è più, è comunque una frase meno sferzante e dolorosa di: c’erano una volta ed ora non ci sono più.
Meno sotto tutti gli aspetti: quantità, certezze, valori.
Non sempre è possibile accertare, per singoli eventi, quanti siano stati coloro che “C’erano!”.
Nel tentativo d’identificare chi o cosa valga l’affetto che gli dedichiamo, e ne sia degno fino al punto da meritare l’inserimento nel nostro personale elenco speciale dei “C’erano!”, dobbiamo ricostruire molte difficili certezze.
Non sono certo che esista, per ogni situazione, uno specifico sistema adatto a farmi assegnare valore alle univoche diversità, nel caso in cui esse rappresentino i tanti o tante che “C’erano!”
“Così o come”: così trama e dubbio (sempre lui), o come da rivolo a torrente, il mio segreto addio saluta le PINETE D’ISCHIA.
C’erano.
Grazie ai miei amici ed ai miei nemici, se mai ne ho avuti degli uni e/o degli altri, le PINETE D’ISCHIA non ci sono più.
Proseguendo nella particolare marcia per l’avvicinamento alla efebica idea del racconto di uno spacco inciso tra le facce, di Ischia e degli ischitani, che ho amato in maniera inconsapevole, mi piombano addosso, scostumati, i canneti a ridosso delle distese sabbiose che merlavano con ricami inconsueti i bordi tra l’isola e il mare.
Era esaltante la solitudine di ascolti, tra venti e risacche, dei fruscii di lucertole verdognole e d’innocue bisce in contrappunti, duetti e contrasti con i battiti delle ali di calabroni simili ad elefanti, o di vespe ed api più veloci degli elicotteri modello da battaglia.
Ero lì.
Io c’ero.
Forse cercando vermi da usare come esche sulle trappole per uccelli, direbbe il diavoletto.
Assaporando la prima dose di una poesia drogante mai più dimenticata, direbbe il santarello.
Partecipando ad una irripetibile esplosione di schioppettante bellezza, direi io.
Così trama e dubbio, come da rivolo a torrente, il mio segreto addio
saluta i CANNETI D’ISCHIA.
C’erano.
Grazie ai miei amici ed ai miei nemici, se mai ne ho avuti degli uni e/o degli altri, i CANNETI D’ISCHIA non ci sono più.
Vorrei poter cambiare almeno il corso delle mie giornate per farle iniziare dalla sera e cessare all’ora di pranzo, trasformando in sonno la pennichella pomeridiana, ed in attiva fioritura le faticose ore che le notti attuali concedono alle mie vibrazioni.
Questo racconto semplice come può essere la ricostruzione, mentre sono bendato, bendato, del mio profilo nasale, apparentemente svogliato, privo di fronzoli e inganni né più né meno di Cappuccetto Rosso, ma, in effetti, affaticato dai problemi che torcono i sogni in desideri, che intrecciano passioni ed affetti, ricordi e realtà, il nostro andare in carrozzella ed il tiro del cavallo, questo racconto mi chiamerebbe fazioso sfuggente incompleto se non menzionassi la perla nera di tutti gli abissi che sono stati perforati con malvagità ed abusivismo sulla pelle e nel cuore della mia isola.
L’orca marina uccide per sopravvivere.
Il leone marino di oltre due quintali, caccia con volteggi essenziali.
“Così o come” un rudere, nel tempo delle PINETE e dei CANNETI, il CASTELLO sprigionava il lezzo dei morti ammazzati in tentativi di conquiste e difese, i profumi di spezie cortigiane e principesche, gli odori unici ed irripetibili di mirti o di muschi trasportati da brezze contrastanti tra ceneri vulcaniche e spruzzi d’onde sfacciate, gli effluvi per nulla evanescenti di sterco di muli e cavalli, i vapori solfurei della grotta deposito per polveri da sparo, il fumo della bestia rosolata a fuoco lento nel cortile delle feste.
“Così o come” un simbolo, nel tempo delle PINETE e dei CANNETI, il CASTELLO scopriva senza civetteria il suo interno, ove, rinchiusi racchiusi socchiusi, mitiche alcove, ruderi anonimi, antiche fortezze e nuove prigioni, in alcune notti fungevano da segreto richiamo per giovani coppie in cerca d’ispiranti atmosfere amorose, nei giorni di festa si confacevano a lussureggiante baita per famiglie in gita domenicale con la classica frittatina di maccheroni avvolta in due piatti ed una salvietta, e, non tanto raramente, si prestavano ad accettare il ruolo di solitario rifugio per sperduti intellettuali scappati dai disincanti di schematici palazzi cittadini.
“Così o come” una gioia, nel tempo delle PINETE e dei CANNETI, il CASTELLO offriva la luminosità dei nostri orizzonti naturali sparsa senza ritegno sulle profonde tracce lasciate nella rocca maniero da eventi impetuosi e passionali. Per ora basta così!
CASTELLO ARAGONESE IL CASTELLO D’ISCHIA.
Volete un residence, un ascensore, un botteghino, un ristorante, un cannocchiale sul golfo, volete una scia di storia coperta da muraglie di cemento, volete un isolotto bucato come una gruviera, squassato da malte e laterizi, illuminato con i fari ed i laser dei by night, stordito da urli urlacci musica musicaccia, volete una Vostra eredità intangibile trasformata in affare turistico: ecco a Voi IL CASTELLO ARAGONESE D’ISCHIA.
Oggi potete chiamarlo “IL CASTEL LETTO”.
Albergo a “?” stelle.
“Così” trama e dubbio, “come” da rivolo a torrente, il mio segreto addio saluta il: VECCHIO BALUARDO ARAGONESE, CASTELLO D’ISCHIA.
C’era.
Grazie ai miei amici ed ai miei nemici, se mai ne ho avuti degli uni e/o degli altri, il CASTELLO ARAGONESE D’ISCHIA non c’è più.

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CAPITOLO QUARTO

Sbambagiate anteprime di timpani.
La musica di Gershwin.

Violenta la Musa il suo clarino.
Va tutto bene.
Bacchetta d’Africa infernale.

Semplici dita ruotano sui tasti.
Tu nero tu bianco.
Le note e la bacchetta.

Riflessione in versi su un fantastico concerto diretto da Marshall e trasmesso da Rai tre alle due del 10/06/05.

“…
Ti benedica la Musa
mentre
non senza titubanti tenerezze
liberi suoni e silenzi da
orpelli congeniti
che
trascinano con affanno.
…”

Passato il tempo delle more, sopraggiunge il periodo dei fichi. Le angurie attendono impazienti.
Ora che ho quasi esaurito il rigido menabò, verde speranza come il colore di una papaia, impostomi per la millesima volta da una irriducibile vecchia vacca razionalità, ora, salve, non sono innocente.
“Ho pensato tutta la notte…” è una frase comune così o come “Ricomincio tutto da capo…”, “Coraggio.”, “Ce la puoi fare…”, “Non chiedermelo…”, “Il primo vagito.”, “Un sospiro!”, “Presente.”, “Pronto.”, “Sì.”, “No.”, “Perché?”, ma si meritano spazi consistenti in una iperbolica classifica anche “Cosa ne pensi?”, “Possiamo provare…”, “Ho preso qualcosa per cena.”, “Ci si può divertire.”, “Cos’è?”, “Come?”, “O.K.”, “D’accordo.”, “Chi è?”.
Lesto, mi preparo al meritato sollazzo di chi ha completato dopo un’ora il budget di un mese, l’oscar mi attende.
Sento una voglia gagliarda di oscurare tutto il mio lavoro riducendolo in un affresco in bianco e nero.
Neppure mi è chiaro cosa significa questa affermazione.
Forse che ogni inciso, parentesi, segno di punteggiatura, avverbio aggettivo preposizione e tutte le balzane forme di interpunzione, contengono virus malefici capaci di aggiungere sfumature ai decorati basamenti dei miei obelischi mentali, adducendoli sotto leviganti cascate normalizzanti?
Non voglio.

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CAPITOLO QUINTO

CAPITOLO SESTO

Mi benedica la Musa
mentre
non senza titubanti tenerezze
libero suoni e silenzi da
orpelli congeniti
che
trascinano con affanno.
“Così o come” (la mia nuova libidine esistenziale), non è
ancora terminato, né so se e quando avrò ancora palpiti che
m’indurranno ad aggiungere respiri e forme al suo cuore ormai pulsante, direbbe un cardiologo.
Comunque, se vuoi: Lui disse alla Musa

“……
non sia condanna, per le mie idee ansie
che nutro con poche scoregge di vita liberate dai miasmi
generali
cardinali
multinazionali

… ,
la tolleranza.
Che io sia follia,
non folle.”

Per dire che la voglia di consenso non dovrebbe convincere l’autore a togliere la scorreggia dal verso, “Così o come” nessun lettore, quantunque privilegiato, dovrebbe rompergli i coglioni con le “sue” idee, ansie, e tutto il resto.
Fin che posso, non allargo le gambe nel ruolo dell’autore, e non le accavallo in quello del lettore.
Ciao.

Fine quinta puntata.
Le precedenti quattro puntate sono state pubblicate il 29 gennaio, il 5 febbraio, il 26 febbraio e l’11 marzo.

Segue la prossima settimana.

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Il Dispari 20240311

Il Dispari 20240311

Un racconto di Bruno Mancini

inserito nel volume “Per Aurora volume terzo”

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Il Dispari 20240311

Quarta puntata

 Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

Altri personaggi candidati: – Andrea – Ciccio – Aniello…

Volendo comprendere le banalità insite nelle semplificazioni adoperate per ridurre in un breve promemoria una serie di azioni, tra loro simili ma differenti, è sufficiente permeare, spianare, e quindi valutare, quanto viene affermato in uno dei più celebri messaggi popolari.

Affidato a noi ragazzi dai saggi vissuti negli anni delle Pinete d’Ischia, esso proclamava: “Occhio che non vede, cuore che non soffre”.

Andrea era cieco e soffriva, sia a causa delle oggettive privazioni di cui la sua quotidianità risultava costellata, sia per i ricordi di quante meravigliose immagini avevano fermato i suoi sguardi nei tempi passati.

Egli pativa anche, o forse principalmente, in quanto il buio visivo nel quale era immerso da anni aveva dapprima circoscritta, ed infine definitivamente imprigionata, la sua indole di spontanea prorompente ricerca conoscitiva.

In un evidente contrappunto ai limiti fisici caratterizzati dalla deficiente situazione sensoriale, Andrea aveva affinata una capacità mnemonica quasi oltraggiosa a confronto di quella dei vedenti.

Ogni settimana, prevalentemente di venerdì, lo scrutavo mentre era impegnato a scandire una sequenza impressionante di colonne totocalcio alla compagnia di un esiguo gruppo d’amici.

Eseguiva, mentalmente, complicate elaborazioni.

Dettava serie enormi di dati che altrimenti si potevano attenere solo rivolgendosi a ricevitorie speciali dotate d’apposite attrezzature computerizzate.

Robotizzato, era un aggettivo che specificava bene le sue attitudini.

Non solo per lui era elementare lo sviluppo del “sistema” di sette doppie (che si articola in cento ventotto colonne di tredici segni ciascuna), ma con stupefacente naturalezza, bevendo un cappuccino e fumando un pacchetto d’Edelweiss, riusciva a dettare la serie completa di colonne di tutti gli altri sistemi, integrali o ridotti, per i quali gli si chiedeva collaborazione: quattro triple, tre triple e tre doppie, cinque triple e tre doppie ecc.

Non dico che ritenevo impossibile memorizzarne le formule, ma che mi colpiva la sua abilità di specificarne le risultanti colonne senza potersi servire d’alcun aiuto.

Insomma sono tuttora convinto che è certamente un risultato di grande concentrazione riuscire, senza neppure un foglio di carta ed una penna, ad elaborare quegli insiemi composti da tante numerose variabili.

Il Dispari 20240311

Il Dispari 20240311

Il Dispari 20240311

Altri personaggi candidati: Renato…

-«Bongiur, chi lé Renatò pittooor artistà? Pittor? Fet capellì mio peìit?»
-«Bell Madama, eccomi, tutto per tuà.
Frances, acconcia il ragas, io penso alla Francès.»
-«Al top, al top, ahhh… an top… uhhh…»
-«Franco, quante volte devo dirti di non fare uscire sciù sciù dopo cena?
Riponilo in gabbia, vedi, la Signora ha paura.
Ti ho detto mille volte di non lasciarlo libero se ci sono persone estranee!
Non lo conoscono, poverine, e credono sia un topo!
Sciù sciù!
Cherì, non ti preoccup, ora lo risistemiam nel suo allogg natural.
L’abbiamo cresciuto noi, da piccolo.
Sapess com lu er tre malconc!
Dai Franco, sbrigati.
Al piccolo i capelli li facciam con taglio modern a spazzola, oppure con baset lunghe alla marsiglies?
Franco, Franco… … e acchiappalo, sotto la sedia… come sempre il birichino.
Scend, petit cherì madame, non morde, vuole solo digerire il pollo e le patatine fritte che ha mangiat nella dispensa, è bravo, sciù sciù, non mord, scendi, Matam e scendi Signora, appoggiati, bella Signora, Madame la franceson.
Così ohhh così con il braccio intorno alla mia spal, scendi piano piano, piano, piano, lentament, fammi sentire le braccia sul collo, cazzo che zizzona, FERMATI, sciù sciù è sotto il lavello, Franco sbrigati, spicciati…  aspetta, non correre, piano, afferralo senza fretta, Madame è bona… azzo se è bona…»
-«Ahh… Ahh… eccolo…»
-«Niente paur ora ti prendo in bracc e ti porto al sicur nel retrobotté.
Francooooo… … e tieni a bada il ragazzino!»

Il Dispari 20240311

Il Dispari 20240311

Il Dispari 20240311

CAPITOLO SECONDO

Il risveglio è a volte imbarazzante per i tanti enigmi nei quali era rimasto imbrigliato durante la sonnolenza.

Mi rendo conto di quanto sia assurda l’ambizione di regalarmi, volontariamente, un’atroce ossessione, eppure, nessun oblio mi tenta.

Il comodo abbandono di una risalita in ascensore si annulla di fronte alla vorticosa bellezza della scala acchiocciolata.

Voglio il mio.
Aspro e bollente.
Che sia il mio.

Gli architetti della vita non hanno predisposto ermetismi sufficienti ad impedire le fughe della mia fantasia.

Resterà negra e ribelle, piuttosto che conformarsi ai candori delle false fattrici di misteri.

Ai comodi abbandoni
di sbalzi
in ascensore,
vorticose bellezze
di scale acchiocciolate.
Voglio la mia.

Dalle false fattrici di misteri
insufficienti compromessi,
o Principi o Caini.

Voglio la mia
aspra e bollente.

Per assurde ambizioni
invento
atroci ossessioni:
orridi
oscuri
oblii.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle.
 
I veri architetti della vita
dileggiano
con antichi ermetismi,
o corde o grotte o celle.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia.

Imbrigliati da enigmi
di torpori,
risvegli imbarazzanti
osteggiano.

Voglio la mia fantasia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia,
in fuga solitaria.

Io sono acqua, ovverosia, il risultato di un fatto: ossigeno e idrogeno s’incontrano in una scarica elettrica.

L’uomo, la donna, idem.

A volte mi chiedo come mi comporterei, e quali scelte effettuerei, nella improbabile eventualità che un magnifico marchingegno scientifico biologico elettronico spaziale sfavillante (sfavillante è sì fuorviante ma attinente), sconvolgente e dissacrante, insomma iper moderno globalizzato (l’attrezzo di una estrema concezione della vita, il pomo del nuovo peccato originale, il sogno di ogni folle ricercatore artista autista di viaggi impossibili madre di flotte frignanti magnifici regnanti e scomodi accattoni utili servi e pavidi legionari…), rendesse possibile la retro metempsicosi.

Poter scegliere, prima di dissociare i contorti meccanismi molecolari che mi governano, in quale “X” già vissuto volermi riprodurre per proseguirne le abitudini e sopportarne i difetti.

Un cane, una pietra, un uomo?

Ai comodi abbandoni
di sbalzanti ascensori,
vorticose bellezze
di scale acchiocciolate.

Voglio la mia.

Per assurde ambizioni
m’invento atroci ossessioni:
orridi
oscuri oblii.

Voglio la mia
aspra e bollente.

Dalle false fattrici di misteri
insufficienti compromessi,
o principi o caini.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle.

I veri architetti della vita
dileggiano
con i loro antichi ermetismi,
o corde o grotte o celle.

Voglio la mia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia.

Imbrigliati da enigmi
di torpori,
risvegli imbarazzanti
osteggiano.

Voglio la mia fantasia
aspra e bollente
negra e ribelle,
che sia la mia,
in fuga solitaria.

Ma non scherziamo!

è già tanto se l’ippocampo non risulta inserito nella lista dei protetti, a guisa (che sciccheria “a guisa”) dei pentiti pluri extra super assassini.

I pipistrelli ci sono riusciti.

Forse con qualche raccomandazione, oppure, com’è documentato nell’archivio storico della mia immaginazione, con larvate minacce di penetrazioni notturne nelle quiete stanze dei rampanti animalisti ambientalisti autonomisti assolutisti accreditati difensori di tutto quanto esiste, fu, esistette, fu stato, è.

Un pipistrello in cambio di cento zanzare sarebbe un affare?

Nelle cities (plurale di city: città!) dagli immensi benesseri malesseri ossessi o sessi o calci nelle palle, sollecitati sbirri dondolano chiappe bucate per soldi e per potere.

Si sbaglia chi crede che ogni violenza è vincente, «così o come» un dito nel culo, ma non è per nulla certa la sacrale conquista da parte di ogni desolata pietà.

Ma non scherziamo!

Giulio era un uomo d’onore o di onore?

Ne farò una poesia.

Le guardie notturne
attaccano all’alba
la chiave alla bacheca,
i nostri giornali
il prode ed il bislacco.

Ma non scherziamo!

Attacco all’alba
Gl’ippocampi sguazzano
in ogni polla
al pari di pesci,
i nostri Giulio Generale
tra i baci dei prudenti.

Ma non scherziamo!

Attacco all’alba
con sciami di zanzare.
Ossessi dondolanti
per soldi e fra poteri
bucano chiappe cittadine,
i nostri uccelli neri
ronfanti animalisti.

Ma non scherziamo!

Attacco all’alba
con sciami di zanzare
per la sacrale conquista.
A Roma si scopre il
bianco alla finestra
sbaglia chi crede,
a Cuba
il rosso nella cella.

Ma non scherziamo!

Attacco all’alba
con sciami di zanzare
per la sacrale conquista
della vostra libertà.
 
Fine quarta puntata.

Le precedenti tre puntate sono state pubblicate il 29 gennaio, il 5 febbraio e il 26 febbraio.

Segue la prossima settimana.

Il Dispari 20240311

Per Aurora

Il Dispari 20240311

Il Dispari 20240311

Il Dispari 20240311

l Dispari 20240226 – Redazione culturale DILA APS

Il Dispari 20240226 – Redazione culturale DILA APS

Il Dispari 20240226

Così o come

Un racconto di Bruno Mancini inserito in

“Per Aurora volume terzo”

https://www.lulu.com/it/shop/bruno-mancini/per-aurora-volume-terzo/paperback/product-29y6wr.html?page=1&pageSize=4

Terza puntata

Parte Prima

CAPITOLO PRIMO

Costui, in fondo, era un uomo gioioso e collerico, sensuale rude e tenero, bislacco e profondo, futile e sottile. Un brivido per donne di sani tradizionali principi, per maschi timorosi di confronti e per tutte le belle statuine dei presepi viventi allestiti nelle piazze e nelle feste di paese.

Nessuna persona provvista di buon senso avrebbe voluto provocare un confronto con la sua dissacrante, violenta ed anarchica mancanza d’auto ironia:

-«Coloro che bussano alla porta, i bussanti, i bussatori – e così anche il liquido di una bottiglia dal tappo di sughero biondo come la schiuma della mia birra commerciale o come i baffi scoloriti dalle tremila sigarette che fumo in meno di cinquanta giorni – non sempre sono i migliori nel catalogo degli attesi.

Io credo che l’America avrebbe dichiarato guerra al Giappone per l’affronto delle Hawaii, ma non si sarebbe impegnata nello scacchiere europeo se l’Italia non fosse stata in lizza.

Il Dispari 20240226 – Redazione culturale DILA APS

Senza la partecipazione del nostro Duce al conflitto, loro, le stelle e strisce, avrebbero comodamente sistemato l’orticello acquatico del vicino Pacifico non creandosi altre preoccupazioni.

Le fabbriche di cannoni ed ogive per proiettili dalle svariate caratteristiche, avrebbero continuato a produrre utili e benessere economico con minime perdite di vite umane, sia in regime di guerra, sia nel successivo tempo di ricostruzione.

Ma “la popolo ed il popolazione” nel continente a stelle e strisce era formato in maggioranza da itali americani.

“Non salviamo i nostri cugini zie e nipoti amici fratelli padri nonni madri cumparielli padrini sorelle consanguinei conoscenti? Il cattivo li opprime.

Noi siamo la libertà.

Loro, gli Italioti, custodi delle nostre radici, delle nostre origini, delle nostre fedi, sono persone a noi care. I nostri consanguinei sono ingenui, semplici, affettuosi, docili, simpatici, gentili, ospitali.

Sono poveri scemi imbrogliati dal fottuto figlio di puttana. Abbiamo lottato contro le Montagne Rocciose, gli Apache, il Fiume Colorado, Geronimo, ed il Deserto del Nevada, che facciamo, gli spettatori nella corsa alla conquista dell’Italia, l’origine delle nostre origini?

Non sia mai detto!

Andiamo.

WE GO.”

E vennero.

Non piangere, bambino, tua madre fu violentata da truppe marocchine, sì, sotto il comando di…, sì, sì, sì… ma non erano i cugini, neppure le settantamila, settecentomila, sette milioni, sette miliardi di tonnellate di bombe a tonnellate sui vicoli palazzi spiazzi giardini pubblici scuole chiese alberghi prostiboli… et de hoc satis.»

Questo racconto tenta di forzarmi la mano ed impormi continue traiettorie, contigue confinanti collaterali collegate complici comuni compiacenti, che non rientrano nella serafica visione morfologica che inizialmente avevo architettato.

Il breve ritratto di un Costui spolverato dal manuale del tipico esistenzialista pacifista comunisteggiante anarcoide, non prevedeva la messa in scena di un superbioso trattato storico sociale.

Costui quindi tornerà accanto alle altre figure nobili della ormai distrutta civiltà che abbiamo vissuto nella ex Isola Verde. Tuttavia, per non convalidare la tesi secondo la quale non avrei rispetto per nessuna giusta curiosità, e tanto meno per gli ormai codificati standard letterari, completerò in poche righe la tesi elaborata da Costui.

Il Cattivissimo perse la guerra, poiché aveva commesso l’errore madornale ed irreparabile di pretendere l’alleanza del Semi Cattivo. Ciò in quanto tutte le operazioni militari del suo Sub alleato si rivelarono tanto velleitarie quanto inutili e dispersive.

La Grecia, l’Albania, la Libia, l’Eritrea, l’Egitto, l’Etiopia, Malta, Cirenaica Trento e Trieste pur non essendo di alcuna valenza nella economia bellica, crearono ostacoli di grossa portata alle armate del Super Io chiamate in soccorso dei bravi soldatini disarmati affamati e male equipaggiati che il Mini Dux aveva gettato allo sbaraglio al grido di “Avanti savoiardi”.

Redazione culturale DILA APS

Il Dispari 20240226

Un giorno sì e l’altro pure, “Egli, il mini” mandava emissari a chiedere aiuti “Il pan ci manca”, e ad implorare “Benzin benzin”. Per di più generali afflitti dalle vicende di Taranto, Capo Matapam, Tobruc, e poi Grecia, e poi e poi… aggredivano, si fa per dire, il Maine Super con assillante continuità.

Da queste considerazioni Costui traeva la conclusione che il Baffo Tedesco, senza l’intervento raffazzonato e sconclusionato dell’Amico Guaifondaio, potendo utilizzare in maniera non dispersiva forze superiori sui fronti strategicamente determinanti, sarebbe riuscito a sopraffare le difese nemiche.

Egli rafforzava questa sua tesi elaborando il concetto che le Stelle e Strisce erano entrate in guerra contro il Super Deux solo in ragione della presenza dei Nostri concittadini (piccolo interessuccio economico populistico).

Non tutti siamo d’accordo.

Non tutti abbiamo natura di “affermanti”.

Non può non esserci un limite.

è vero che il Super comandava il plotone di esecuzione, ma erano altri a premere i grilletti.

Allora io ancora non sapevo che nello stesso giorno del mio secondo compleanno il Super Iper Max Baffo Maine aveva ammazzato pure se stesso!

Suicida.

Altri personaggi candidati: – Andrea – Ciccio – Aniello…

Volendo comprendere le banalità insite nelle semplificazioni adoperate per ridurre in un breve promemoria una serie di azioni, tra loro simili ma differenti, è sufficiente permeare, spianare, e quindi valutare, quanto viene affermato in uno dei più celebri messaggi popolari. Affidato a noi ragazzi dai saggi vissuti negli anni delle Pinete d’Ischia, esso proclamava: “Occhio che non vede, cuore che non soffre”.

Andrea era cieco e soffriva, sia a causa delle oggettive privazioni di cui la sua quotidianità risultava costellata, sia per i ricordi di quante meravigliose immagini avevano fermato i suoi sguardi nei tempi passati. Egli pativa anche, o forse principalmente, in quanto il buio visivo nel quale era immerso da anni aveva dapprima circoscritta, ed infine definitivamente imprigionata, la sua indole di spontanea prorompente ricerca conoscitiva.

In un evidente contrappunto ai limiti fisici caratterizzati dalla deficiente situazione sensoriale, Andrea aveva affinata una capacità mnemonica quasi oltraggiosa a confronto di quella dei vedenti. Ogni settimana, prevalentemente di venerdì, lo scrutavo mentre era impegnato a scandire una sequenza impressionante di colonne totocalcio alla compagnia di un esiguo gruppo d’amici. Eseguiva, mentalmente, complicate elaborazioni. Dettava serie enormi di dati che altrimenti si potevano attenere solo rivolgendosi a ricevitorie speciali dotate d’apposite attrezzature computerizzate. Robotizzato, era un aggettivo che specificava bene le sue attitudini. Non solo per lui era elementare lo sviluppo del “sistema” di sette doppie (che si articola in cento ventotto colonne di tredici segni ciascuna), ma con stupefacente naturalezza, bevendo un cappuccino e fumando un pacchetto d’Edelweiss, riusciva a dettare la serie completa di colonne di tutti gli altri sistemi, integrali o ridotti, per i quali gli si chiedeva collaborazione: quattro triple, tre triple e tre doppie, cinque triple e tre doppie ecc.

Non dico che ritenevo impossibile memorizzarne le formule, ma che mi colpiva la sua abilità di specificarne le risultanti colonne senza potersi servire d’alcun aiuto. Insomma sono tuttora convinto che è certamente un risultato di grande concentrazione riuscire, senza neppure un foglio di carta ed una penna, ad elaborare quegli insiemi composti da tante numerose variabili.

Il Dispari 20240226

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